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giovedì, 25 Aprile 2024

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La Sdraio di Giusi: “Mussolini è stato un integerrimo difensore della giustizia?”

Riceviamo e pubblichiamo

“Mussolini è stato un integerrimo difensore della giustizia?”. Assolutamente no! Innanzitutto, in quanto movimento totalitario e distruttivo delle libertà individuali, il fascismo è per definizione ingiusto. Possiamo discutere semmai del rapporto fra fascismo e legalità che appare molto variegato nel corso del tempo.

Nel 1914 Mussolini da direttore de “L’Avanti!” passò in poco più di un mese dal sostenere una posizione di neutralismo dell’Italia ad una di interventismo e quindi di sostegno alla partecipazione del paese alla Prima guerra mondiale, che causò la morte e l’invalidità di 1.143.000 di Italiani. L’ex direttore del quotidiano socialista fondò successivamente il “Popolo d’Italia” con un buon capitale iniziale la cui provenienza era poco chiara e di cui una parte veniva da industriali che miravano a ricavare guadagni dalla guerra.

Nel 1919 con il programma di San Sepolcro i fasci di combattimento, fondati da Mussolini, si presentarono come un movimento che praticavano la violenza e la politica di piazza impegnandosi in scontri sanguinosi con i lavoratori in sciopero, distruggendo sedi di giornali e sindacati. Evidentemente si trattava di un fenomeno che non aveva nulla a che fare con la legalità.

In seguito alla batosta elettorale, Mussolini decise di cambiare rotta schierandosi dalla parte dei padroni di fabbriche e imprese agricole, imponendo con la violenza la fine degli scioperi e l’interruzione delle manifestazioni. In pratica il movimento, che nel frattempo si era trasformato nel partito fascista, continuò ad usare la violenza ma “per riportare la legalità”, quella voluta dall’alta borghesia industriale e agraria a danno di operai e contadini. Il fascismo si definì il partito della legalità imponendola attraverso sistemi illegali (olio di ricino, manganellate, botte, violenze varie…).

Il caso più clamoroso di uso dell’illegalità fu l’assassinio del deputato Matteotti nel 1924 e per il quale Mussolini si assunse la “responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto”. Matteotti venne ucciso perché voleva denunciare in parlamento uno scandalo riguardante certe tangenti ottenuti dai gerarchi fascisti per lo sfruttamento dei diritti su possibili giacimenti petroliferi; tra i coinvolti sembra ci fosse anche il fratello del duce, Arnaldo Mussolini.

Il fascismo continuò ad operare nell’illegalità anche dopo il consolidamento del potere mettendo in piedi un vero e proprio sistema di clientele su base nazionale, attribuendo ricchezze pubbliche e servendosene per alimentare il partito e i suoi membri e quindi il proprio potere.

L’illegalità non riguardava solo il partito nel suo complesso ma anche i singoli componenti. L’avvocato e gerarca fascista, Roberto Farinacci, chiedeva parcelle sostanziose per interventi in casi giudiziari in cui faceva valere il suo peso politico per aggiustare le sentenze. Il suo patrimonio sarà valutato, nel 1949, in una cifra astronomica: 615 milioni. Farinacci non poté godere del patrimonio accumulato perché fu giustiziato nel 1945, ma aveva sistemato le cose in modo che ne potessero usufruire i suoi familiari. Alla fine, dopo undici anni di battaglie legali, i suoi eredi sono riusciti a salvare una somma di oltre 600 milioni.

Il più grande arricchito del regime risulta essere Costanzo Ciano, padre di Galeazzo, ministro degli Esteri nonché marito di Edda, la figlia di Mussolini. Costanzo Ciano alla sua morte aveva accumulato un patrimonio di circa 900 milioni di lire.

Il più fortunato di tutti fu il sindacalista Edmondo Rossoni che ottenne il monopolio della rappresentanza operaia e nel 1926 il riconoscimento giuridico di un solo sindacato nazionale per categoria. Nel 1929 comprò una lussuosa villa ad Anzio che venne intestata alla sua amante. Molto furbescamente dopo la caduta del fascismo, il 25 luglio del 1943, scappò via ritornando in Italia dopo l’amnistia, concordò un modesto risarcimento all’erario, tenne per sé qualche decina di milioni morendo nel 1965, a 81 anni, dopo un’ultima stagione vissuta in un’agiata tranquillità.

Tutte le ruberie dei gerarchi sono ampiamente documentate nell’archivio che Mussolini conservava nel suo studio privato e che era il frutto delle indagini della OVRA, la polizia politica fascista; fra i suoi compiti vi era anche quello di tenere sotto controllo e spiare le persone più vicine al duce. Lo scopo dei dossier, comunque, era di accumulare armi di ricatto nei confronti dei possibili oppositori interni e non di ripulire l’apparato dalle mele marce.

La più terribile delle ruberie fu quella nei confronti dell’esercito italiano che arrivò impreparato alla guerra, voluta da Mussolini e che costò la vita a 443 mila italiani fra civili e militari e 320 mila invalidi; gli esigui fondi assegnati, infatti, e destinati all’ammodernamento si disperdevano in mazzette varie.

Chi difende ancora l’immagine del duce, sostiene che, se alcuni uomini del regime furono indegni, il capo fu immune da ogni colpa. La propaganda fascista ha dipinto una figura di un ascetico, allergico ai lussi, quasi povero e dedito solo ai propri sudditi. Effettivamente Mussolini non ha mai incassato il proprio stipendio di capo del Governo ma al contempo accettò di buon grado doni e prebende derivanti dalla sua posizione. Ricevette per esempio nel 1936 e nel 1938 due elargizioni da parte del Senato, la seconda di un milione di lire. La cittadinanza di Forlì restaurò e gli regalò un castello. Era proprietario di una villetta in Romagna ma quando era a Roma risiedeva nella splendida Villa Torlonia pagando un affitto simbolico di una lira all’anno. Trascorreva le sue vacanze nella tenuta reale di Castel Porziano.

Al momento della sua fuga, nell’aprile del 1945, Mussolini prese per sé e i suoi fedelissimi denaro e oro provenienti dai forzieri della Banca d’Italia, quindi nei fatti si appropriò di denaro e ricchezza pubblici allo scopo di pagarsi la fuga.

Tutti questi dati ci danno conferma di una verità che molti nostalgici vogliono nascondere. Mussolini ebbe un rapporto strumentale con la legalità: la legge andava rispettata se utile a reprimere gli oppositori, andava ignorata se ostacolava le mire del regime, infine andava riscritta se si opponeva alle ambizioni del duce.

GIUSI PALADINO

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