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martedì, 3 Dicembre 2024

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Vito Nicastri in carcere, il “signore del vento” è considerato fedelissimo del boss Matteo Messina

E’ tornato in carcere Vito Nicastri, imprenditore di Alcamo soprannominato il “signore del vento” per avere accumulato una fortuna grazie alle energie pulite. Nicastri, che era ai domiciliari con l’accusa di concorso in associazione mafiosa dal 2018, è considerato fedelissimo del boss Matteo Messina ed è al centro di una inchiesta su un giro di mazzette che coinvolge diversi funzionari della Regione siciliana contattati per sbloccare procedimenti amministrativi legati alle energie rinnovabili.

Indagati con Nicastri anche Paolo Franco Arata, 69 anni, professore, consulente della Lega sull’energia ed ex parlamentare di Fi, il figlio Francesco Paolo, 39 anni; Giacomo Causarano, 70 anni; l’imprenditore Francesco Isca, 59 anni; Angelo Giuseppe Mistretta, 62 anni; Manlio Nicastri, 32 anni, figlio di Vito e Alberto Tinnirello, 61 anni, funzionario regionale, prima al Dipartimento dell’Energia. Sono accusati a vario titolo di corruzione e intestazione fittizia, Isca risponde di associazione mafiosa.

Arrestato negli anni ’90, tornato in cella nel 2018, già condannato a 4 anni per evasione fiscale, Vito Nicastri, imprenditore trapanese portato in carcere, è uno dei primi ad avere puntato sulle energie rinnovabili che gli hanno consentito di accumulare una fortuna: il Financial Times lo definì anni fa ‘il signore del vento’. Per i pm sarebbe al centro di un giro di mazzette che coinvolge anche funzionari della Regione. Sei anni fa gli è stato sequestrato dalla Dia un patrimonio di circa un miliardo l’euro. Il pentito Lorenzo Cimarosa, nel frattempo morto, lo ha indicato come uno dei finanziatori della ormai più che ventennale latitanza di Messina Denaro.

Il collaboratore di giustizia ha raccontato di una borsa piena di soldi che Nicastri avrebbe fatto avere al capomafia attraverso un altro uomo d’onore, Michele Gucciardi. Secondo gli inquirenti sarebbe un referente delle cosche, alle quali si rivolgeva per accaparrarsi i terreni su cui costruire gli impianti in Sicilia e Calabria in cambio di sub-appalti alle ditte a loro legate. Ha sempre mantenuto costanti contatti con la politica locale in uno “scenario sconfortante”, scrissero i giudici nel decreto di sequestro, fatto di “impressionanti condotte corruttive” che nel tempo coinvolsero funzionari regionali, del Demanio e delle servitù militari. Conosce bene la macchina regionale e ha rapporti con politici nazionali e siciliani.

Partito da una cooperativa agricola, trasformatosi in idraulico ed elettricista per avviare aziende impegnate nella riparazione di impianti si è poi convertito diventando imprenditore leader per le energie alternative. Secondo le accuse fin dagli anni ’90 capì che la protezione della mafia era fondamentale per gli affari. Il suo ruolo è consistito nel fornire una facciata legale ai rapporti inconfessabili tra la grande imprenditoria e le cosche mafiose. [Ansa]

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