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Ai tempi del Coronavirus non c’è tempo per le beghe

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Non si voleva parlare dell’agenda politica, soprattutto delle beghe del suo ceto, ma necessita farlo, nonostante sia già abbastanza intasata dai Decreti Presidente Consiglio Ministri, con l’acronimo d.p.C.m., entrato ormai nel linguaggio comune alla stregua di fashion blogger o influencer. Ad oggi sono quattro nel mese di marzo relativi al Covid19 e un decreto legge delle scorse ore armonizza i precedenti dpcm.

È indubbio che la nazione e il suo governo si trovino in una condizione mai vissuta nel secondo dopoguerra. Le critiche non sono mancate, anche quelle strumentali e non costruttive. Una ricorrente è che i provvedimenti restringano le libertà personali, sopratutto quelle di movimento. Il decreto legge di ieri conferma che l’unica autorità delegata alle restrizioni delle libertà costituzionali è il governo nazionale.

La comunità scientifica e relativamente agli ultimi giorni il trend sul numero dei contagiati lo conferma, afferma che la strategia dell’isolamento sociale è vincente, sicuramente lo è stato in Cina. E noi? Dopo essere un popolo di santi, poeti e navigatori, diventiamo improvvisamente un popolo di podisti, e molti runner, del giorno dopo il DPCM, al punto di assistere alla rabbia di un corridore che rimproverato per non avere rispettato le restrizioni, prende a randellate l’auto del richiamante. Oppure vedere il sindaco di Bari, Decaro, invitare i suoi concittadini a tornare a casa, i quali, in una bella giornata di sole, avevano pensato bene di recarsi al parco.

Come se non bastassero i comportamenti dei cittadini della penisola, arriva quello di Cateno De Lucap, sindaco di Messina, che oscura le migliaia di sindaci che lavorano in silenzio senza riflettori, decidendo di controllare i cittadini provenienti dal “continente” per vedere se rispettano i requisiti dei Dcpm ora armonizzati dal decreto legge 24 marzo 2020 sulla mobilità, ossia per lavoro,assoluta e grave necessità, salute.

Invece no, ci si ritrova con il sindaco sceriffo, in barba alla grammatica costituzionale e quantomeno al bon ton tra istituzioni, in questo drammatico frangente parlare di depistaggio di Stato. Ancora una volta confidiamo nel presidente Mattarella, che è riuscito a far sedere allo stesso tavolo Conte e Salvini, quest’ultimo ascoltato insieme alla Meloni e a Tajani.

Vittorio Alfieri

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