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giovedì, 18 Aprile 2024

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“Don Baldassare Meli ha vissuto tutta la sua vita con una forza interiore sorprendente…”

AL CARISSIMO DON BALDASSARE MELI, PRESBITERO SINO ALLA FINE: “CANTERÒ PER SEMPRE L’AMORE DEL SIGNORE” (dalla liturgia della XIIIª Domenica del Tempo Ordinario)

Carissimi amici, la triste notizia della morte di don Baldassare Meli nella sua parrocchia di Santa Lucia nel quartiere Belvedere di Castelvetrano, dopo aver trascorso gli ultimi giorni a Triscina di Selinunte, accudito encomiabilmente dall’affetto di Ninetta ed Aldo ed amato dalla sua gente, ha raggiunto in modo molto tempestivo, ieri mattina presto, la città che lo aveva adottato sin dal 2004; il clero della nostra diocesi di Mazara che lo ha amabilmente accolto e la famiglia religiosa dei Salesiani, a cui don Meli era molto legato: tutti ne siamo rimasti profondamente addolorati. Questo dolore, secondo la prospettiva puramente umana, rivela innanzitutto il legame affettivo – fraterno o paterno, amicale o familiare -, che molti di noi hanno vissuto con don Meli; dall’altro lato, rivela anche come i legami che si strutturano nella fede e che accomunano tutti i cristiani, diventano davvero così belli e così profondi che, in verità, è impossibile perderli definitivamente, ma sono interiormente trasformati per essere vissuti in una forma nuova, più sublime.

Nel giro di poche ore, soprattutto sui social network e sugli organi di stampa, sono state numerose le attestazioni di affetto e di stima verso l’uomo e il sacerdote che ha accompagnato la vita di tanti col suo tratto semplice ed umile: la memoria ha iniziato a portare a galla, col susseguirsi delle ore, numerosi ricordi segnati dalla presenza di don Baldassare.

Un articolo però mi ha profondamente turbato e rammaricato, in quanto ha omesso, con affermazioni semplicistiche ed ambigue, la prospettiva cristiana e teologica sulla sofferenza, sul dolore e sulla morte alla luce proprio della fede in Gesù, morto e risorto per noi. L’autore dell’articolo esordiva così: “Alla fine l’ha vinta lui, il tumore che da poco più di sei mesi gli avevano diagnosticato”. Ed ancora più avanti: “La malattia, però, non gli ha dato scampo. Stamattina la morte…”.

Queste pericolose e fuorvianti affermazioni, condivise da non so quante persone su Facebook, non rispondono assolutamente a verità: sono profondamente false e peraltro non rendono affatto onore alla memoria di don Meli che ha vissuto tutta la sua vita, il tempo della prova come anche i mesi della malattia, con una forza interiore sorprendente, affidandosi totalmente, senza riserve, alla volontà di Dio, che proprio attraverso la sofferenza lo ha chiamato, in questi ultimi mesi, ad essere “unito più strettamente a Cristo”, così come promettiamo di vivere, il giorno della nostra ordinazione sacerdotale, per tutta la vita.

Personalmente ero stato a far visita al confratello don Meli appena una settimana fa e devo dire che sono rimasto profondamente edificato dalla pacatezza, dai modi sempre composti e gentili; della serenità che emanava dai suoi occhi; dal suo viso sorridente e dal suo sguardo profondo già tutto orientato a Dio, la pienezza della nostra vita: seppur lento nei movimenti, seppur affaticato, seppur visibilmente trasformato nel corpo e in preda a forti dolori, ha emanato, a coloro che siamo stati a visitarlo, tanta pace, tanta fiducia in Dio. E so che tutti coloro che lo hanno visitato, da lui hanno ricevuto questa bella testimonianza.

Si, i suoi occhi erano già dentro il mistero di Dio: il suo sguardo non era immerso nel vuoto o nella paura ma nell’infinito, nell’eterno abbraccio di Dio: uno sguardo che ha saputo raccogliere, se pur nella fatica quotidiana, la promessa di Gesù: “Vieni, servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore” (Mt 25,21). Con un atteggiamento filiale si è consegnato totalmente a Dio: la preghiera, personale e liturgica, e la Santa Messa hanno sempre alimentato ed arricchito la sua fede e dato forza alla sua persona ogni giorno. Io credo anche che la comunità parrocchiale che gli è stata affidata dal Vescovo a suo tempo, intitolata alla Santa vergine e martire Lucia, si è rivelata più che mai appropriata al suo interiore cammino spirituale: “… senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno non da straniero” (Gb 19,26-27).

Il tumore o qualsiasi altra malattia, per noi cristiani, non può vincere, mai! Un cristiano che lotta e fatica non è mai un perdente agli occhi di Dio, perché “le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace” (Sap 3,1-3). Senza fede, questa verità, già in se paradossale, può sembrare anche illusoria: per alcuni infatti è incomprensibile, per altri invece addirittura inaccettabile; invece questa bella notizia è radicata profondamente nella Parola di Dio e continua, anche oggi, a dare senso e ad illuminare il mistero, umanamente inafferrabile, della morte. Nel Nuovo Testamento, poi, tutti gli insegnamenti di Gesù, la sua passione e, soprattutto, l’esperienza inaspettata e straordinaria della Pasqua, ci ricordano che Cristo ha preso su di se tutte le nostre infermità e con la sua morte ha vinto la nostra morte per sempre.

Noi, con gli occhi umani, vediamo oggi il corpo inerme di don Meli segnato visibilmente dalla malattia: il tumore, paradossalmente, è stato per lui lo strumento attraverso cui si è “consumato totalmente” nella Chiesa per la sua gente, come lampada che arde ed illumina, come chicco che muore per generare nuova vita.

Maria, Madre di Gesù e Madre dell’umanità, sotto la croce, non subisce la morte del Figlio, ma, trafitta dalla spada del dolore, piena di grazia e di fede, attende pazientemente che la vita del suo figlio Gesù torni a rifiorire in una nuova primavera segnata dallo Spirito Santo che “fa nuove tutte le cose” (Ap 21,5). E anche noi, come la Madonna, vogliamo vivere così questo momento di sofferenza, imitandola nell’abbandono totale ed incondizionato a Dio, Padre misericordioso e fedele.

Lungi da un atteggiamento di rassegnazione o di delusione, la malattia ha dato a don Meli l’opportunità, da lui accolta con serenità sin dall’inizio, di stare sulla croce insieme a Gesù per ricevere da Lui la giusta ricompensa, ovvero poter condividere adesso anche la sua stessa vita in eterno.

L’amore, per quanto ci lega fortemente alle persone care, non può mai essere egoista, non può trattenerle: è l’esperienza di Maria Maddalena quando, il mattino di Pasqua, finalmente trova fuori dal sepolcro il suo amato, Gesù, che la chiama per nome. L’amore di don Meli per Gesù adesso era diventato più forte del suo amore per questa terra, per la sua gente: la sofferenza lo ha unito, o meglio conformato totalmente, a Gesù crocifisso e risorto. Noi camminiamo verso la patria del cielo, ci ricorda San Paolo, e niente può arrestare il nostro procedere verso Dio.

Da cristiano e da sacerdote ringrazio Dio perché attraverso il fecondo ministero di don Meli e il suo consumarsi per amore di Gesù ci ha ricordato in maniera cristallina che gli uomini, seppur ottimi compagni di viaggio, passano ma ne rimane viva la memoria e l’esempio edificante della loro vita e che Dio, invece, resta per sempre.

“Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui” (Rm 6,8-10): ci ricorda, guarda caso, la seconda lettura di questa XIIIª domenica del tempo ordinario attraverso San Paolo.

Nella celebrazione esequiale invece, al momento del commiato, così la fede della Chiesa canta all’anima che se ne parte da questo mondo al cielo:

“In Paradisum deducant te Angeli;
in tuo adventu suscipiant te Martyres,
et perducant te in civitatem sanctam Jerusalem
Chorus Angelorum te suscipiat,
et cum Lazaro quondam paupere,
aeternam habeas requiem” (Antifona).

Don Antonino Favata
Cappellano dell’ospedale “Abele Ajello” di Mazara

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