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venerdì, 29 Marzo 2024

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Coronavirus, “Chi si re-infetta ha la forma severa di malattia”: anticorpi come un boomerang

Essersi ammalati non basta a proteggere da una nuova infezione. Il coronavirus sembra riuscire a sbaragliare anche gli anticorpi. È l’ipotesi avanzata da una ricerca italiana pubblicata sulla rivista BMJ Global Health secondo cui l’immunità acquisita non solo potrebbe non essere protettiva, ma potrebbe addirittura rivelarsi controproducente favorendo re-infezioni con sintomi più gravi.

Come nasce l’ipotesi delle re-infezioni – Il tema della durata degli anticorpi anti-Covid è oggetto di studio in tutto il mondo ma fino ad ora nessuno ha ancora capito veramente se l’infezione da nuovo coronavirus conferisca o meno immunità permanente, o se ci sia il rischio di ammalarsi di nuovo. Il lavoro appena pubblicato è frutto della collaborazione tra colleghi italiani dell’Irccs Burlo Garofalo di Trieste ed ex compagni di corso della London School of Hygiene & Tropical Medicine. “Abbiamo preso spunto per questa ricerca osservando l’andamento della malattia, in particolare l’elevata trasmissibilità e il tasso di casi severi in generale tra gli operatori sanitari anche giovani sia in Italia che in Cina, come dimostra il caso del medico cinese trentenne di Wuhan, deceduto e da cui tutto è partito”, spiega Luca Cegolon, medico epidemiologo presso l’Ausl 2 di Marca Trevigiana di Treviso e primo firmatario del lavoro. Anche il basso rischio di Covid-19 severo fra i bambini con meno di 10 anni ha portato i ricercatori a fare delle riflessioni. “I bambini hanno inevitabilmente meno anticorpi degli adulti e degli anziani, essendo stati meno esposti ad agenti infettivi nel corso della loro breve vita e questo potrebbe spiegare perché sono più protetti”, osserva Cegolon.

I virus che tornano – Il Sars-Cov2 appartiene alla famiglia dei coronavirus umani. Ce ne sono 7 ceppi diversi, 4 dei quali causano sindromi respiratorie lievi (il comune raffreddore). “Tutti sono noti per causare re-infezioni, indipendentemente dalla cosiddetta immunità umorale, cioè quella che si acquisisce quando ci si ammala sviluppando gli anticorpi”, spiega Cegolon. Per i ceppi più pericolosi di coronavirus, il Mers-CoV ed il Sars-CoV, è stato identificato e riconosciuto un fenomeno immunologico noto come Antibody Dependent Enhancement (Ade), scatenato da re-infezioni. “In pratica – spiega l’epidemiologo – non solo l’immunità acquisita non sembra proteggere dalle re-infezioni da coronavirus, ma può addirittura diventare un boomerang, alleandosi con il virus stesso durante infezioni secondarie per facilitarne l’ingresso nelle cellule bersaglio, sopprimere l’immunità innata e scatenare o amplificare una reazione infiammatoria importante dell’organismo”. In pratica, se ci fosse una nuova ondata, una persona che l’ha preso a marzo in autunno potrebbe ammalarsi di nuovo.

Le analogie con la Dengue – Secondo i ricercatori italiani, in chi si è già ammalato l’anticorpo preesistente riuscirebbe a sopravvivere e creerebbe una risposta infiammatoria moltiplicata con una riduzione della risposta innata. Il Sars-CoV-2 presenta un’omologia di sequenza genica fino all’80% con il Sars-Cov e del 50% con il Mers-CoV. Non solo: il meccanismo dell’Ade nelle infezioni causate da questi due coronavirus presenta caratteristiche molto simili al quadro clinico dei casi critici di Covid-19: polmonite interstiziale con sindrome da distress respiratorio acuto (Ards), linfopenia, aumento dei neutrofili, tempesta di citochine, forte riduzione dell’interferone. “Le analogie – sottolinea l’epidemiologo – sono molte come dimostra la diminuzione dei livelli dell’interferone, che serve a difenderci dalle infezioni, e dei linfociti mentre aumentano i fagociti che sono responsabili di un quadro polmonare gravemente compromesso e caratterizzato da una tempesta di citochine”. Il meccanismo dell’Ade si osserva anche in infezioni da flavivirus come il West Nile e la Dengue, caratterizzate proprio da un’interferenza dell’azione dell’interferone. “Non a caso 2-3 mesi fa erano stati fatti arrivare in Italia una cinquantina di medici cubani, esperti di Dengue, infezione virale endemica a Cuba, e di terapia con Interferone”, ricorda Cegolon.

Gli studi in corso sugli operatori sanitari – Uno studio cinese pubblicato su Nature Medicine ha registrato un rapido calo dei livelli di anticorpi (dopo 2-3 mesi dalla guarigione) nel plasma sia dei pazienti sintomatici sia di quelli che hanno manifestato una sintomatologia lieve o nessuna. Ma le idee non sono ancora del tutto chiare anche perché in questa fase – almeno in Italia – i casi sono molto diminuiti. “Sia nel nostro Paese che in Gran Bretagna – continua Cegolon – si stanno approntando studi sierologici per verificare se gli anticorpi proteggono dall’infezione o no. Si tratta di ricerche che si concentrano soprattutto sugli operatori sanitari perché il virus gira di più negli ospedali sia perché ci sono malati sia perché sono ambienti chiusi”. Secondo i ricercatori italiani, il meccanismo dell’Ade nel Covid-19 potrebbe essere scatenato anche da infezioni da parte di altri virus/coronavirus respiratori come il raffreddore o l’influenza.

Valutare l’effetto boomerang degli anticorpi – Nel Regno Unito, in particolare, è in corso lo studio Siren per la valutazione dell’eventuale effetto protettivo anti-Covi19 determinato dagli anticorpi generati da pregresse infezioni da Sars-Cov-2 fra gli operatori socio-sanitari. “Nonostante lo studio Siren sia stato concepito per verificare l’immunità protettiva conferita dagli anticorpi anti-Covid19 contro una eventuale re-infezione – sottolinea l’epidemiologo italiano – si presta benissimo anche a verificare il possibile effetto boomerang di tali anticorpi, cioè l’eventuale comparsa della forma critica di Covid-19 negli operatori socio-sanitari ri-esposti a Sars-Cov2 dopo pregressa infezione lieve/asintomatica che ha prodotto una risposta anticorpale”.

Nessun vaccino per la famiglia di Coronavirus – L’ipotesi dello studio italiano incute un certo timore anche in relazione all’efficacia dei vaccini nei quali tutti ripongono grandi speranze. “Per nessun coronavirus è mai stato possibile produrre e commercializzare un vaccino efficace finora, neppure per quelli temibili che, come il Sars-CoV-2, causano sindromi respiratorie acute severe, cioè il Middle-East Respiratory Coronavirus (Merc-CoV) ed il Sars-CoV che causò la famosa epidemia cinese nel 2003”, fa notare Cegolon. Come mai? Il meccanismo che ne ha impedito la produzione fino ad ora non è ancora chiaro: “Ma sicuramente l’immunità umorale, cioè gli anticorpi prodotti in seguito ad una prima infezione – dichiara Cegolon – non sembrano avere un ruolo protettivo. Ed infatti i coronavirus sono noti per causare re-infezioni, indipendentemente dall’immunità acquisita”.

Un’ipotesi che preoccupa – Quella descritta nello studio su BMJ Global Health è solo un’ipotesi e come tale va confermata. “Da un certo punto di vista – conclude Cegolon – a noi non dispiacerebbe essere smentiti, perché se la nostra ipotesi fosse confermata ci sarebbero forti implicazioni non solo per la terapia dei casi critici di Covid-19, ma anche (in negativo) per la produzione di un vaccino efficace contro il Sars-CoV-2”. Il prossimo passo per tentare di capire ancora più a fondo è quello di condurre uno studio osservazionale sui pazienti che si sono ammalati. Ma nel frattempo, come difendersi? “La prevenzione è la vera chiave di volta”, risponde Cegolon. “Ora che grazie al caldo-umido la diffusione del virus è rallentata, bisogna approfittarne per potenziare l’immunità innata e attrezzarsi per l’autunno con interventi farmacologici che possano proteggere le porte d’ingresso del virus come, per esempio, il naso”. [da Repubblica.it]

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