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Scandali nella caserma dei carabinieri di Piacenza: è palermitano il comandante, ai domiciliari

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L’inchiesta non ha precedenti: una caserma dei carabinieri azzerata visto che su sette militari che la compongono, sei sono stati arrestati. La Stazione Carabinieri Levante di Piacenza, antica istituzione che ha competenza su parte del centro storico cittadino, è stata sequestrata. Nell’edificio che avrebbe dovuto essere un baluardo della legalità, secondo la Procura della Repubblica, sarebbe invece accaduto di tutto: spaccio di droga, arresti falsificati, perquisizioni illecite solo per citarne alcune. E poi tanta violenza, brutale e gratuita, fino alle torture, sui pusher che non volevano collaborare, ma anche festini.

Complessivamente risultano coinvolte ventidue persone, tra cui dieci militari, compreso il comandante, il cinquantenne maresciallo maggiore Marco Orlando, originario di Petralia Sottana in provincia di Palermo, che è finito agli arresti domiciliari.

E per collaborare non si intende dare una mano alla giustizia, ma diventare parte di una rete clandestina di spaccio di droga che vedeva come attori principali, secondo le accuse, quei carabinieri. “Faccio a fatica a definire questi soggetti come carabinieri, perché i loro sono stati comportamenti criminali. Non c’è stato nulla in quella caserma di lecito” ha detto, senza mezze misure, il capo della Procura piacentina, Grazia Pradella, l’ex pm milanese giunta da due settimane alla guida dei magistratura inquirente della città.

“Tutti gli illeciti più gravi – ha sottolineato Pradella – sono stati commessi in piena epoca Covid e del lockdown, con disprezzo delle più elementari regole di cautela imposte dai decreti del Presidente del Consiglio. Mentre la città di Piacenza contava i tanti morti del coronavirus, questi carabinieri approvvigionavano di droga gli spacciatori rimasti senza stupefacente a casa delle norme anti covid. Siamo di fronte a reati impressionanti se si pensa che sono stati commessi da militari dell’Arma dei carabinieri. Si tratta di aspetti molto gravi e incomprensibili agli stessi inquirenti che hanno indagato. Una serie tale di atteggiamenti criminali che ci ha convinto a procedere anche al sequestro della caserma dei carabinieri per futuri accertamenti”.

Solo sei mesi di indagine, fitti di intercettazioni telefoniche, ambientali e pedinamenti ad ogni ora del giorno e della notte. “Un lavoro immenso, eseguito con grande professionalità” tengono a sottolineare Antonio Colonna e Matteo Centini, i due pm che hanno coordinato il lavoro degli investigatori della Guardia di Finanza e della Polizia Locale, giunto a conclusione con l’esecuzione delle misure cautelari: cinque carabinieri sono ora in carcere, il comandante è agli arresti domiciliari. Tra i destinatari delle misure meno restrittive, anche un ufficiale, il maggiore che comanda la Compagnia dei carabinieri di Piacenza. Per lui il gip Luca Milani, che ha firmato un’ordinanza da più di trecento pagine, ha disposto l’obbligo di dimora ma anche la sospensione dal servizio.

La lista dei capi di imputazione, a vario titolo, è lunga e pesante: traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, ricettazione, estorsione, arresto illegale, tortura, lesioni personali, sequestro di persona, peculato, abuso d’ufficio e falsità ideologica.

Un’immagine in cui si vede un uomo di colore, ammanettato a terra in mezzo al suo sangue, diffusa in conferenza stampa insieme a un breve clip audio dove si sentono le grida di una persona picchiata e forse, secondo i pm, anche torturata con l’acqua, sono solo un piccolo tassello per rendere l’idea dei metodi che sarebbero stati all’ordine del giorno in quelle quattro inespugnabili mura dello Stato, permettendo ai carabinieri di sentirsi inattaccabili e onnipotenti.

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